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Con l’Ordinanza in commento (la n. 9670 del 13 aprile 2021) la Suprema Corte ha fornito alcuni chiarimenti in merito al pagamento degli interessi bancari in favore degli eredi.

IL CONTRATTO DI DEPOSITO

Il contratto di deposito di titoli in amministrazione e custodia è disciplinato dall’art. 1838 c.c., il cui primo comma prevede l’obbligo per la banca di «custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o per il rimborso di capitale, curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante». Esso configura un contratto bancario con causa tipica. Tale tipologia di contratto è quella pacificamente conclusa con la dante causa, sulla cui base in primis il ricorrente fonda la pretesa alla corresponsione degli interessi in proprio favore, nella qualità.

COSA AVVIENE IN CASO DI SUCCESSIONE

L’art. 48, comma 4, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (T.U. delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) dispone che i debitori del de cuius non possano pagare le somme dovute agli eredi, se non sia stata fornita la prova della presentazione della dichiarazione, di successione o integrativa, con l’indicazione del relativo credito.

La violazione del divieto è punita con la sanzione amministrativa, a carico della banca, dal cento al duecento per cento dell’imposta dovuta, ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 346 del 1990.

La ratio è quella di operare una coazione dell’obbligo fiscale, posto a carico degli eredi, impedendo alla banca di dare seguito alle loro richieste, ove non sia stata fornita la prova del previo adempimento degli obblighi fiscali in questione: ciò, al fine di non pregiudicare la posizione dell’amministrazione finanziaria, tutelata dalla disposizione, che quindi ha natura imperativa tributaria.

In tal modo, il legislatore ha frapposto un impedimento ex lege a pagare: si tratta del divieto di esecuzione della prestazione, fino a che l’evento richiesto dalla legge – la previa presentazione della denuncia di successione – non sia sopraggiunto.

IL DIRITTO DEGLI EREDI AL PAGAMENTO DEGLI INTERESSI

Ai sensi della norma citata, la mancata presentazione della denuncia di successione da parte degli eredi o della cd. dichiarazione negativa di cui all’art. 28 medesimo Testo Unico rende il credito al pagamento dell’importo dovuto inesigibile: la banca debitrice, perciò, può legittimamente (perché deve) negare il pagamento del controvalore dei titoli, senza che controparte (gli eredi) possa ritenersi titolare del diritto agli interessi corrispettivi o alla refusione di un danno risarcibile.

Gli interessi corrispettivi in discorso sono dovuti dalla banca in funzione equilibratrice del vantaggio che il debitore ritrae, data la normale produttività della moneta, dal trattenere presso di sé somme di danaro che avrebbe dovuto pagare. Gli stessi pertanto decorrono dalla data in cui il credito sia divenuto liquido ed esigibile, in quanto l’importo sia determinato e il pagamento non sia dilazionato da termine, condizione o da altro impedimento, anche legale, al pagamento.

L’attuazione del rapporto obbligatorio richiede cioè, in tal caso, un atto di esercizio qualificato, qual è la previa dimostrazione dell’avvenuto adempimento alla norma fiscale, mediante la presentazione della dichiarazione di successione.

La temporanea inesigibilità del credito sul controvalore dei titoli incide, invero, sulla debenza degli interessi, perché il divieto di pagamento disposto ex lege impedisce all’erede del depositante di richiedere fondatamente nell’immediato alla banca depositaria la restituzione delle somme, ed a questa di pagare; gli interessi non sono dovuti in iure, in quanto l’intermediario, adempiendo ad una norma fiscale cogente, adegua il suo comportamento a legge: onde l’ordinamento sarebbe in contraddizione con sé medesimo ove, da un lato, imponesse di non pagare, e, dall’altro lato, sancisse il carico degli interessi

Tantomeno sono dovuti, in tal caso, gli interessi moratori ex art. 1224 c.c.

Come per la maturazione automatica di interessi corrispettivi, del pari anche il ritardo nell’adempimento non può configurarsi, allorché il mancato pagamento non trovi ragione o causa nell’inerzia dell’istituto bancario, ma rinvenga la sua fonte in una norma imperativa: onde non tanto di mancato pagamento occorre discorrere, quanto di obbligo di non pagare.

L’erede è creditore del controvalore dei titoli, liquidati dalla banca nell’ambito del rapporto di deposito in custodia ed amministrazione concluso dal de cuius: ma l’attuazione di tale rapporto obbligatorio presuppone, ai sensi del citato art. 48, comma 4, d.lgs. n. 346 del 1990, la cooperazione all’adempimento da parte dello stesso creditore.

Al riguardo, anche la direttiva 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, l’art. 3, lett. c) precisa come il creditore abbia diritto agli interessi solo se «ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; non ha ricevuto nei termini l’importo, a meno che il ritardo non sia imputabile al debitore». Il D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, che ha attuato la direttiva, ha interpretato la prescrizione stabilendo, all’art. 3, che il creditore abbia diritto alla corresponsione degli interessi moratori «salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile», ripetendo una formula nota nell’ordinamento italiano. Resta, peraltro, l’importanza sistematica della previsione europea, laddove segnala che la mora debitoria non si produrrà, quando il creditore abbia mancato di adempiere a propri «obblighi di legge»

Non sussiste, dunque, un inadempimento dell’istituto bancario, in presenza della causa di inesigibilità ex lege e dell’insussistenza di un contratto tra le parti, che imponga il pagamento di interessi

IL PRINCIPIO D DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE

Per la Corte va enunciato il seguente principio di diritto: «L’art. 48 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, il quale pone in capo ai terzi il divieto legale di pagare le somme agli eredi prima della dichiarazione di successione, prevede un’ipotesi inesigibilità legale del relativo credito, restando inapplicabili gli artt. 1282 e 1224 c.c., salvo che gli interessi siano dovuti ad altro titolo».