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Il cliente che subisce una frode informatica tramite il c.d. “phishing” deve essere risarcito della perdita economica subita nel caso in cui l’istituto di credito non abbia adottato soluzioni idonee a prevenire o ridurre l’uso fraudolento dei sistemi elettronici di pagamento.

Così si è espressa la Cassazione con la recentissima sentenza n. 3780/2024 depositata il 12.02.2024, con la quale Poste Italiane è stata condannata a restituire al cliente l’importo di 2.900 euro a seguito di una frode perpetrata ai suoi danni da ignoti, tramite l’invio di una email soltanto apparentemente riconducibile a Poste Italiane, con cui la vittima era stata invitata ad accedere al proprio conto corrente mediante un link contenuto nel messaggio di posta e ad inserire le proprie credenziali per effettuare li cambio della password.

Con la sentenza in commento i giudici hanno affermato che la responsabilità dell’istituto di credito per operazioni effettuate attraverso strumenti elettronici di pagamento va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento.

Diversamente, la banca è tenuta ad adottare tutte le misure volte a garantire la sicurezza del servizio, con la conseguenza che, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente un’eventualità rientrante nel rischio d’impresa della banca, quest’ultima, per liberarsi da responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente alla medesima richiesto.

Nel caso specifico, non avendo Poste Italiane provato di avere adottato soluzioni idonee a prevenire o ridurre l’uso fraudolento dei sistemi elettronici di pagamento, quali ad esempio l’invio al titolare della carta di appositi sms alert di conferma di ogni singola operazione, è stata condannata al risarcimento dei danni nei confronti del correntista.

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