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Il Governo ha recentemente emanato diversi provvedimenti, attraverso i quali sono state adottate misure volte a contenere per quanto possibile la diffusione del Coronavirus COVID-19. Si tratta di misure restrittive delle libertà personali e di circolazione, sospensione di viaggi organizzati e non, sospensione di servizio di trasporto merci, sospensione di ogni tipo di manifestazione o forma di riunione, nonché sostanziale chiusura delle attività commerciali.

Si prevede purtroppo che tutto ciò determinerà una forte recessione economica a livello globale, con netta diminuzione della produzione e dei consumi. Presumibilmente, comporterà delle situazioni di difficoltà in capo agli imprenditori, i quali potrebbero non essere in grado di far fronte agli impegni contrattualmente assunti in buona fede nel periodo precedente alla diffusione del Coronavirus.

In questi casi, quale sarebbe l’effetto determinato dalla pandemia, in particolare, sulle locazioni commerciali: effetti sospensivi o, addirittura, estintivi del rapporto obbligatorio?   

L’art. 1218 ed il bilanciamento con gli artt. 1175 e 1375 c.c.

In via generica, la legge prevede i criteri di distribuzione del rischio del mancato raggiungimento del risultato utile per il creditore attraverso gli artt. 1176 e 1218 c.c., sebbene sia il caso di rimarcare con decisione che punto fermo è rappresentato dal fatto che il debitore non può rispondere per un fatto che sia ascrivibile ai terzi, alla forza maggiore o al caso fortuito, cioè eventi imprevedibili ed imprevedibili.

Difatti, l’art. 1218, norma cardine del nostro ordinamento in tema di responsabilità contrattuale, è imperniata sulla prova afferente alla non imputabilità al debitore della causa che importa l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Detto precetto deve tuttavia essere necessariamente interpretato conformemente al dettato di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., secondo cui i contraenti debbono comportarsi secondo regole di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto.  

In altre parole, qualora l’obbligato avesse in buona fede cooperato per l’adempimento della prestazione, ma tra la sua condotta e la mancata realizzazione del risultato previsto dai soggetti del rapporto obbligatorio s’inserisca una serie causale del tutto autonoma – costituita da caso fortuito o forza maggiore – e vi sia dunque impossibilità per il debitore di prevedere tali eventi (o, comunque, di poterle validamente contrastare), quest’ultimo sarà liberato dalla prestazione. 

E’ appena il caso di rilevare che, tra le esimenti invocabili per la citata impossibilità sopravvenuta della prestazione sussiste indubbiamente il cd “factum principis”, ovvero un atto della pubblica autorità (emanato cioè da organi dotati di potere normativo che si impongono sull’autonomia privata) che renda impossibile la prestazione a prescindere dalla volontà del debirore.

In sintesi: il debitore non è tenuto alla prestazione nei limiti di quanto si possa dal medesimo pretendere, alla stregua dei richiamati canoni di correttezza e buona fede, specialmente se il suo inadempimento sia conseguenza dei provvedimenti adottati dalla pubblica autorità per far arginare la diffusione di un virus.

FOCUS SULLE LOCAZIONI COMMERCIALI

L’art. 1256: impossibilità sopravvenuta della prestazione definitiva o temporanea

Ai sensi dell’art. 1256 qualora sopraggiungano fattori che rendano impossibile per il debitore far fronte alla prestazione e che non siano ad esso in alcun modo imputabili, ne conseguirà senza alcun dubbio un effetto estintivo del rapporto contrattuale.

E’ opportuno tuttavia rilevare che l’impossibilità sopravvenuta può essere non solo definitiva, ma anche solo temporanea, come d’altronde tutti gli imprenditori coinvolti nel crollo economico conseguente alla diffusione del Coronavirus COVID-19 auspicano.

Concentrandoci sui contratti conclusi per condurre in locazione dei locali adibiti a scopo commerciale, come sopra cenneato, all’ipotesi di definitiva impossibilità sopravvenuta della prestazione per l’adempimento della prestazione che sia totalmente slegata da fatto colposo dell’obbligato, il codice civile ne fa discendere l’estinzione del relativo negozio giuridico.         

In ipotesi di temporanea impossibilità sopravvenuta della prestazione, il codice civile si limita a sottolineare che il vincolo obbligatorio permane fintanto che il creditore abbia interesse a conseguire la prestazione, con ciò onerando il debitore ad adempiere la propria prestazione ed esonerandolo per il solo ritardo.

Dunque, il debitore sarà tenuto ad eseguire la prestazione quando e se la causa dell’impossibilità dovesse cessare, indipendentemente da un suo diverso interesse economico che, eventualmente, potrebbe far valere sotto il diverso profilo della sua eccessiva onerosità.

L’art. 1467: eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione

Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili ma è ancora possibile, la parte che deve eseguire tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, ovvero chiedere la riduzione della prestazione.

Il concetto di “eccessiva onerosità” non è definito dal legislatore ma, secondo la giurisprudenza e la dottrina, va valutato nei limiti in cui imponga all’obbligato un sacrificio economico che eccede la normale alea del contratto, da valutarsi caso per caso, eventualmente comparando il valore delle prestazioni al momento in cui sono sorte ed a quello in cui devono essere eseguite.

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La materia si presenta evidentemente molto complessa e frammentaria, inserendosi in un contesto totalmente scevro da precedenti giurisprudenziali che permettano di fornire risposta certa ed esaustiva al quesito “Si può rescindere un contratto di locazione commerciale ovvero chiedere la riduzione della prestazione in conseguenza dell’impossibilità – totale o parziale – di fruire dei locali per divieto imposto dall’autorità pubblica quale misura di contenimento del coronavirus COVID-19?”

Il responso non potrà che essere fornito ad esito dell’attento esame del caso concreto, non potendosi determinare aprioristicamente l’incidenza specifica del provvedimento autoritativo sulla prestazione dei contraenti, considerando poi il sempre sussistente obbligo di buona fede nell’esecuzione del negozio giuridico e l’indispensabile disamina del testo del singolo contratto.