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La possibilità del datore di lavoro di effettuare controlli a distanza dei dipendenti, anche tramite agenzie investigative, da sempre rappresenta un tema ostico e molto dibattuto, per cui è opportuno analizzare brevemente i tratti essenziali della disciplina normativa in materia.

L’analisi non può che prendere le mosse da quanto previsto all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, il quale stabilisce che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali […]”.

Controlli difensivi del datore di lavoro

Tuttavia, in alcune situazioni l’applicabilità di tale disposizione normativa è da escludersi, come nel caso dei c.d. controlli difensivi del datore di lavoro, ossia quei controlli finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o diretti ad evitare comportamenti illeciti del dipendente, ogni qualvolta vi sia il fondato sospetto (oggettivamente sussistente e giustificato) circa la commissione di un illecito. L’attività di controllo, tuttavia, deve essere svolta nel rispetto della dignità e riservatezza del lavoratore e il controllo effettuato deve riguardare dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto.

Per lo svolgimento di tali indagini è consentito al datore di lavoro di avvalersi di agenzie investigative (debitamente autorizzate), tenuto conto che l’art. 2 dello Statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro alla tutela del patrimonio aziendale, non preclude la possibilità di ricorrere a tali agenzie, purché il controllo non sconfini in una vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria del dipendente, riservata soltanto al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

L’intervento dell’agenzia investigativa, dunque, è da ritenersi possibile non soltanto per verificare il contenuto di condotte illecite commesse dal dipendente, ma anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia il solo sospetto che tali illeciti siano in corso di esecuzione.

Ne discende che i predetti controlli sono legittimi ove finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore, non potendo, di contro, avere ad oggetto la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa, stante il divieto posto dagli artt. 2 e 3 st. lav.

Validità e Liceità delle indagini investigative

Un aspetto che merita di essere segnalato riguarda la necessità che nel mandato investigativo sia espressamente indicato il nominativo dei soggetti che in concreto eseguono le indagini, ove gli stessi non siano riconducibili alla società di investigazione che ha ricevuto l’incarico. Tali indicazioni, infatti, rappresentano un requisito di validità e di liceità delle indagini e di utilizzabilità del relativo esito, pur se demandate a soggetto dotato delle necessarie autorizzazioni amministrative.

La mancanza di tali indicazioni, infatti, inficia il mandato e comporta, di conseguenza, l’inutilizzabilità dei dati raccolti. In tal senso è (i) l’autorizzazione n. 6/2016 del Garante per la protezione dei dati personali, in cui è previsto che “l’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e non può avvalersi di altri investigatori non indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”; (ii) l’art. 8, comma 4, del provvedimento del garante n. 60 del 06/11/2008, allegato A.6 al D.Lgs. n. 196 del 2003 “regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ove si legge “L’investigatore privato deve eseguire personalmente l’incarico ricevuto e può avvalersi solo di altri investigatori privati indicati nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico, oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell’atto di incarico”.

Ebbene, come chiarito dalla Corte di Cassazione, alle prescrizioni contenute nei codici deontologici è da attribuire valenza normativa, conferita dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 12, che ne prevede anche un regime di pubblicità sulla Gazzetta Ufficiale e prescrive il relativo rispetto come “condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali effettuato da soggetti privati e pubblici“. La medesima forza normativa è stata anche riconosciuta ai predetti codici dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2-quater, comma 4, introdotto dal D.Lgs. n. 101 del 2018.