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Lo ha chiarito la Sezione seconda della Corte di Cassazione che con la Sentenza n. 8278 del 25.3.2019, ha fatto proprio l’orientamento dominante in materia riconducendo  alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in modo da incidere non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino.

Secondo la tesi della Suprema Corte,  l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata sulla base delle norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, in apposita nota distinta da quella dell’atto di acquisto (in forza della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 17, comma 3), delle specifiche clausole limitative, ex art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. Sez. 2, 18/10/2016, n. 21024; Cass. Sez. 2, 31/07/2014, n. 17493).

Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari il regolamento di condominio in sé, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù, che siano documentalmente inserite nel testo di esso.

Ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare, si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente.

In assenza di trascrizione, le disposizioni del regolamento che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d’acquisto. In mancanza, cioè, della certezza legale della conoscenza della servitù da parte del terzo acquirente, derivante dalla trascrizione dell’atto costitutivo, occorre verificare la certezza reale della conoscenza di tale vincolo reciproco, certezza reale che si consegue unicamente mediante la precisa indicazione dello ius in re aliena, gravante sull’immobile oggetto del contratto (Cassazione civile sez. II, 19/03/2018, n. 676).