Skip to main content

Con la Risposta 340/2019 l’Agenzia delle Entrate fornisce importanti chiarimenti in merito all’applicabilità del regime della cedolare secca ai contratti di locazione commerciale anche in presenza di canone variabile.

 

ESTENZIONE DELLA CEDOLARE SECCA AGLI IMMOBILI COMMERCIALI

Il comma 59 dell’art. 1 della Legge n. 145 del 2018 (Legge di bilancio 2019) prevede che “Il canone di locazione relativo ai contratti stipulati nell’anno 2019, aventi ad oggetto unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1, di superficie fino a 600 metri quadrati, escluse le pertinenze, e le  relative pertinenze locate congiuntamente, può, in alternativa rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, essere assoggettato al regime della cedolare secca, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, con l’aliquota del 21 per cento. Tale regime non è applicabile ai contratti stipulati nell’anno 2019, qualora alla data del 15 ottobre 2018 risulti in corso un contratto non scaduto, tra i medesimi soggetti e per lo stesso immobile, interrotto anticipatamente rispetto alla scadenza naturale”.

 

DIVIETO DI AGGIORNAMENTO DEL CANONE

Il comma 11 dall’ art. 3 del D.lgs. n. 23 del 2011 prevede che “Nel caso in cui il locatore opti per l’applicazione della cedolare secca è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente.[…]. Le disposizioni di cui al presente comma sono inderogabili”.

 

LA TESI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Nella fattispecie sottoposta al vaglio dell’Agenzia delle Entrate  (cfr. Risposta 340/2019), il canone di locazione caratterizzante il contratto commercial ein parola è composto da due componenti:

  • una quota fissa annuale;
  • una quota variabile commisurata ai ricavi del punto vendita.

Preliminarmente  occorre stabilire se la descritta  pattuizione contrattuale, possa rientrare nel campo di applicazione della disposizione di cui al citato comma 11 che, in sostanza, sospende la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione.

Sul punto, occorre far presente che la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, citata nell’ art. 3 del D.lgs. n. 23 del 2011, è quella prevista, nel caso di immobili non abitativi, dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978, che dispone: “Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira. Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (…)”.

L’art. 81 della legge n. 392 prevede, inoltre, che “Le variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’ISTAT sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”.

Il suesposto quadro normativo evidenzia che la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo trova la sua fonte normativa nel citato art. 32 e che tale disposizione, in effetti, non incide sul principio di libera determinazione del canone di locazione delle parti contraenti.

In altri termini, appare evidente la differenza tra l’aggiornamento del canone di locazione per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, di cui all’art. 32 della legge n. 392, e la pattuizione di una quota del canone di locazione in forma variabile (che nel presente interpello è posta in relazione alla parte di ricavi del punto vendita).

In ordine al principio della libertà di determinare il canone di locazione per gli immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5849 del 2015, si espressa nei seguenti termini: “le parti, nel momento in cui costituiscono il rapporto di locazione commerciale, sono lasciate libere di determinare il contenuto del contratto che meglio riproduca il loro concreto assetto di interessi, dando spazio anche alla possibilità che il canone non sia uniformemente determinato per tutti gli anni di durata del rapporto potendo essere tali eventuali variazioni predeterminate causalmente giustificate dal contesto delle pattuizioni o comunque dalle circostanze del caso concreto prese in considerazione dalle parti stesse. Il limite non valicabile dalla autonomia delle parti in relazione al canone di locazione di immobili destinati ad utilizzo commerciale è costituito esclusivamente, nel momento genetico del contratto, dalla nullità delle clausole che sostanzialmente si traducano in un aggiramento della L. n. 392 del 1978, art. 32 ed in una determinazione privatistica della misura della indicizzazione.(…)”.

Con riferimento al caso di specie, quindi, la possibilità di determinare il canone di locazione – tenendo conto anche dei ricavi del punto vendita  – rientra nella libertà accordata alle parti di determinare il contenuto del contratto e non integra una determinazione privatistica della misura di indicizzazione, né un aggiornamento del canone a qualsiasi titolo di cui al comma 11 dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2011 citato.

Per le suesposte considerazioni, l’A.E. ritiene che la previsione contrattuale presente nel contratto di locazione, che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, non rientra nel campo di applicazione del citato comma 11 e, come tale, non possa essere di ostacolo all’assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca.