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Ai fini fiscali,  la rinuncia ai diritti reali va considerata alla stregua di un trasferimento in quanto generativa di un arricchimento  e come tale soggetta ad imposta ipocatastale in misura proporzionale e non fissa.

Lo chiarisce la Suprema Corte con l’Ordinanza 2252 del 28.1.2019 la quale richiama il già consolidato orientamento secondo il quale l’art. 1 parte prima della tariffa allegata al DPR 131/1986 (Testo Unico Imposta Registro) espressamente richiamata dal TUIC (Testo Unico Imposte Ipotecarie e Catastali) prevede che siano assoggettati ad imposta proporzionale di registro e non a quella fissa, gli atti traslativi o costitutivi di diritti immobiliari di godimento “compresa la rinuncia pure e semplice agli stessi (cfr. Cass. 27480/2016 – Cass. 24512/200).

Ai fini fiscali, pertanto, la rinuncia ai diritti reali va considerata alla stregua di un trasferimento in quanto generativa di un arricchimento nella sfera giuridica altrui, come tale soggetta ad imposta ipocatastale.

Del resto, come noto, l’usufrutto è un diritto reale di godimento per cui il venir meno della cosiddetta “imposta di consolidazione” ha comportato l’assenza di imposizione ove il consolidamento derivi da un fatto (morte dell’usufruttuario, scadenza del termine), ma non ove il trasferimento derivi da un atto negoziale cioè da uno specifico negozio ben distinto dall’atto di separazione della proprietà  dall’usufrutto.

Non vi sarebbe infatti alcun logico motivo per assoggettare ad imposta la cessione dell’ usufrutto di cui all’art. 980 c.c. e non la rinuncia negoziale allo stesso diritto il qual ultimo arreca al nudo proprietario un arricchimento identico a quello conseguito da chi l’usufrutto lo riceve.