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http://www.affaritaliani.it/rubriche/fisco_dintorni/non-svolge-attivita-impresa-il-collezionista-che-vende-tutte-le-sue-opere-587344.html

Il collezionista di opere d’arte che decide di vendere la sua intera collezione non svolge attività commerciale.

E’ questo il principio sancito dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte che, con recente sentenza, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Novara, con la quale erano stati annullati una serie di avvisi di accertamento emessi nei confronti di un collezionista di opere d’arte (Sentenza n.1412 del 2018, pronunciata l’11.06.2018 e depositata in Segreteria il 18.09.2018, Presidente Dott.ssa Maurizia GIUSTA, liberamente visibile sul sito www.iurishub.it nella sezione Media – Aggiornamenti normativi).

Nel caso in questione, l’Agenzia delle Entrate aveva eseguito un’indagine finanziaria sui conti correnti bancari intestati ad un collezionista di opere d’arte, dalla quale erano emersi degli accrediti di denaro per oltre 60.000 euro.

Il contribuente, giustificava tali introiti come derivanti dalla vendita di opere d’arte di sua proprietà.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, qualificava tali cessioni come “esercizio di attività commerciale”. Per tale motivo, dunque, l’Ufficio notificava al contribuente una serie di avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione l’I.V.A. e l’IRAP relative a tali cessioni.

Il collezionista impugnava i predetti avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Novara, evidenziando come la vendita delle proprie opere d’arte fosse derivata dalla volontà del contribuente di dismettere il proprio patrimonio artistico a causa di una serie di vicende giudiziarie che lo avevano coinvolto. Per tale motivo, quindi, il ricorrente insisteva per l’annullamento degli atti esattoriali impugnati, evidenziando che le cessioni in questione altro non erano che delle semplici vendite di opere d’arte poste in essere da un privato collezionista e, dunque, non tassabili.

La Commissione Tributaria Provinciale di Novara accoglieva il ricorso presentato dal contribuente.

Per tale motivo, quindi, l’Amministrazione Finanziaria presentava appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, affermando come solo gli atti isolati e sporadici di produzione di beni o commercio esulassero dall’esercizio dell’attività di impresa.

L’Ufficio evidenziava, infatti, come, nel caso in questione, dal 2006 al 2009, il contribuente aveva ceduto opere d’arte per oltre 600.000 euro e che, dunque, la reiterazione delle cessioni dimostravano la ricorrenza delle principali caratteristiche dello svolgimento dell’attività imprenditoriale (continuità, abitualità e professionalità), condizioni, quest’ultime, sufficienti per giustificare la ripresa a tassazione dei relativi proventi.

I Giudici della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte hanno ritenuto infondato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, affermando che “l’Ufficio ha ritenuto la ricorrenza dell’esercizio dell’attività commerciale da parte del Signor _____, in base ai soli introiti dal medesimo dichiarati come conseguiti con le vendite delle proprie opere d’arte. Tale circostanza non è idonea a dimostrare la sussistenza, nel caso in specie, dello svolgimento professionale di un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione e/o allo scambio di bene e servizi. Ed invero un conto è la dismissione di opere d’arte, nel caso in specie avvenuta in modo massiccio molto tempo dopo le relative acquisizioni, da parte del collezionista proprietario, altra cosa è lo svolgimento di un’attività imprenditoriale nell’ambito della compravendita di opere d’arte. La dismissione di un patrimonio artistico di proprietà del collezionista non è sottoponibile a tassazione a differenza dei proventi dell’attività di impresa. …E’ infatti meramente normale che un collezionista acquisti e rivenda opere d’arte allo scopo di arricchire la propria collezione. Ma la dedizione nel tempo alla creazione e al mantenimento della propria collezione e l’esperienza via via accumulato in materia artistica, non integrano la ripetizione di atti di commercio tipica dell’esercente professionale di un’attività imprenditoriale. Nell’assenza di riscontri sulle modalità di acquisto delle opere d’arte, idonei a dimostrare la creazione di un circuito commerciale, emerge che il contribuente mai si servì di collaboratori né di altri mezzi, ma rivolse le proprie energie alla mera condivisione della propria esperienza culturale.

A fronte di siffatte carenze sul piano della motivazione dell’accertamento, il contribuente, invece, ha dimostrato, in positivo, che la propria professionalità fu dispiegata in ambito meramente culturale e che gli acquisti erano avvenuti, in un’ottica amatoriale, nel corso di un quarantennio, mentre le vendite erano state fatte nell’ottica della dismissione del proprio preesistente patrimonio, accumulato negli anni. Lo stesso diede plausibile dimostrazione delle ragioni, documentate in atti, che lo indussero alla dismissione del proprio patrimonio artistico. Deve pertanto condividersi la sentenza impugnata che ha escluso la ricorrenza dell’attività commerciale, non risultando provato che la dismissione del patrimonio artistico da parte del contribuente avesse natura commerciale”.

Alla luce di quanto sopra esposto, ne deriva che la cessione di opere d’arte eseguita da un privato collezionista senza fine speculativo non può essere considerata come svolgimento di attività commerciale, dovendosi valutare, nella sostanza, il comportamento posto in essere dal collezionista.

A bene vedere, infatti, la semplice dismissione di una collezione, l’importo del valore dell’opera ceduta e/o il numero di compravendite poste in essere non sono indici rilevanti per l’applicablità o meno della tassazione poichè, come anzi detto, ciò che conta è la finalità con la quale sono stati posti in essere gli atti.

Avv. Ambra Petroni 

Avv. Matteo Sances