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Con il provvedimento in commento (Ordinanza n. 42 del 7.1.2021) la Suprema Corte ha fornito alcuni chiarimenti in merito al diritto di prelazione agraria di cui agli artt. 8 e 31 della L. 590/1965 e 7 della L. 817/1971.

LA QUALITÀ DI COLTIVATORE DIRETTO

In materia di prelazione agraria, la qualità di coltivatore diretto legittimante la prelazione e, conseguentemente, il riscatto  va intesa in senso restrittivo ai sensi dell’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, e perciò non sussiste in capo a chi si dedica esclusivamente al governo e all’allevamento del bestiame.

Per gli Ermellini, infatti, l’intento perseguito dal legislatore mediante gli istituti della prelazione e del riscatto è quello di favorire la coltivazione di un fondo più ampio per una maggiore efficiente produzione agraria .

Pertanto, la qualità di coltivatore diretto deve considerarsi attinente propriamente alla coltivazione della terra e, di conseguenza, il diritto di prelazione e riscatto è riconosciuto dall’ordinamento a condizione che il soggetto coltivi il fondo (quale proprietario o conduttore), così rimanendo degradata l’esistenza del bestiame da allevare o da governare al rango di mera evenienza, ovvero di attività complementare alla coltivazione della terra o, comunque, aggiuntiva rispetto alla concreta coltivazione del fondo, rivelandosi, così, insufficiente, ai detti fini, l’esclusivo esercizio dell’attività di allevamento del bestiame (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28237 del 20/12/2005 – Sentenza n. 4501 del 24/02/2010).

In termini analoghi si è già espressa la Cassazione (cfr. Sentenza n. 15766 del 10/07/2014) secondo cui “Per la legittimazione all’esercizio del retratto agrario, ai sensi degli artt. 8 e 31 della legge n. 590 del 26 maggio 1965 la qualità di coltivatore diretto del fondo limitrofo va intesa in senso restrittivo, propriamente funzionale alla coltivazione della terra, sicchè deve escludersi in capo a chi sul fondo eserciti, in via esclusiva o assolutamente prevalente, l’attività di allevamento e governo di animali, con assoluto assorbimento delle energie lavorative, restando irrilevante che su residua parte del terreno venga svolta attività agricola senza apporto personale dei retraenti“.

IL CASO CONCRETO

In applicazione dei richiamati principi, per i Giudici deve essere esclusa la qualità di coltivatore diretto in capo al soggetto che eserciti soltanto, o in forma assolutamente prevalente, l’attività di allevamento, poiché a tal fine occorre la dimostrazione circa il concorrente svolgimento anche di attività di coltivazione del fondo.

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto che il Ricorrente avesse dimostrato soltanto l’attività di allevamento di puledri, e non anche quella di coltivazione del fondo. Decisivo, al riguardo, risulta il passaggio della motivazione della sentenza impugnata con cui la Corte afferma che “Il ctu espressamente evidenzia nell’accertamento dell’attività, in concreto esercitata dall’attore, che “l’alimentazione degli animali è costituita essenzialmente da fieno e in parte da mangimi specifici acquistati sul mercato oltre ad aver riscontrato durante il sopralluogo una intensa attività pascolativa“.