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L’assegnazione di fatto del funzionario non dirigente ad una posizione dirigenziale, prevista dall’atto aziendale e dal provvedimento di graduazione delle funzioni, costituisce espletamento di mansioni superiori, rilevante ai fini e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, con conseguente diritto del funzionario a ricevere le relative differenze retributive.

È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sez. lav., con la sentenza n. 30811 del 28/11/2018, con cui è stato accolto il ricorso di un funzionario di una azienda sanitaria locale che aveva chiesto il riconoscimento delle differenze retributive per aver svolto mansioni superiori (nella specie, dirigenziali) a quelle di effettivo inquadramento.

L’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, infatti, non è esclusa dal mancato espletamento si una procedura concorsuale, dall’assenza di un atto formale di incarico e dalla mancanza della fissazione degli obiettivi. Tali circostanze assumono rilievo, eventualmente, soltanto ai fini dell’esclusone del diritto del funzionario a percepire la retribuzione di risultato.

I giudici di legittimità evidenziano come, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto di ricevere una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione (in tal senso si vedano anche Cass. S.U. n. 25837/2007; Cass. n. 4367/2009), in linea con quanto più volte sancito dalla Corte costituzionale (sentenze n. 908 del 1988; n. 236 del 1992 e n. 296 del 1990).

Secondo la Cassazione, dunque, il diritto al compenso per lo svolgimento, di fatto, di mansioni superiori deve essere riconosciuto nella misura indicata dall’art. 52, co. 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e non può essere condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni dirigenziali in quanto, una diversa interpretazione, sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato ex art. 36 Cost. Unico elemento che deve sussistere ai fini del riconoscimento del diritto in parola, è che l’ente abbia istituito la posizione dirigenziale, attività quest’ultima che rientra nell’esercizio del suo potere discrezionale sulla base di una valutazione della rilevanza degli uffici e delle risorse umane e finanziare da assegnare agli stessi.

La Corte osserva, inoltre, che, con riferimento all’ambito della dirigenza sanitaria del ruolo professionale, le aziende sanitarie possono istituire posizioni dirigenziali che, senza attribuzione di responsabilità della struttura, semplice o complessa, comportano l’assegnazione di incarichi di tipo esclusivamente professionale, caratterizzati dall’affidamento di compiti con precisi ambiti di autonomia tecnica-professionale, da esercitare nel rispetto degli indirizzi dati dal dirigente responsabile della struttura, nonché dalla collaborazione con quest’ultimo e dall’assunzione di corresponsabilità quanto alla gestione dell’attività professionale.

In senso analogo si era  già espressa la Cassazione con la sentenza n. 6068 del 29.03.2016, con cui era stato evidenziato che, nell’ipotesi di esercizio in via di fatto delle mansioni dirigenziali, manca per definizione il provvedimento con cui, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, sono fissati gli obiettivi, con la conseguenza che non può essere la mancata previsione degli obiettivi elemento di fatto rilevante ad escludere l’esercizio delle mansioni superiori dirigenziali. Parimenti, non è rilevante la mancata acquisizione della qualifica di dirigente, la cui assenza costituisce, anzi, il presupposto di applicazione dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (cfr. Cass. Civ., sez. lav., n. 6068 del 29.03.2016 con cui è stato accolto il ricorso di un dipendente del Ministero di Giustizia che deduceva di aver ricoperto la funzione di dirigente negli anni in cui, per vacanza di posto, era stato assegnato alla direzione di una casa circondariale e di una casa di lavoro, pur continuando ad essere inquadrato nel livello e percependo la relativa retribuzione).

Pertanto, in mancanza di espresse limitazioni, la preposizione ad un ufficio comporta il conferimento di tutti i poteri di direzione dell’ufficio medesimo.